Vene varicose, problemi linfatici, aneurismi, aterosclerosi, trombosi, ictus, embolie e molto altro ancora: il dottor Vecchiati, ex primario del Santa Maria, ci dà alcuni consigli su come ridurre rischio di ammalarsi e come scorgere gravi malattie a volte silenti e mortali.
Cos’è una visita angiologica e a chi è consigliata
L’angiologia è quella branca della medicina che studia l’anatomia e le patologie che colpiscono i vasi sanguigni e quelli linfatici. Ne parliamo con uno specialista, il Dottor Enrico Vecchiati di Modena, ex primario al Santa Maria Nuova, che collabora da tempo con il Poliambulatorio 3C Salute di Reggio Emilia.
Dottore, come si svolge una classica visita angiologica?
“Ogni visita angiologica ha un ampio spettro di variabili e approcci differenti: dobbiamo infatti occuparci sia delle malattie delle arterie, tra le quali troviamo la classica arteriosclerosi – cioè la patologia che occlude le arterie per effetto di un “incrostamento” dei vasi, in parte causato dell’inesorabile trascorrere del tempo e da altri fattori aggravanti, uno su tutti il fumo, ma anche il diabete, il colesterolo alto e altre patologie dismetaboliche – sia delle malattie delle vene, nell’altro versante. Esse riguardano quella parte della circolazione che riporta il sangue al cuore dalla periferia e che soffre di problematiche del tutto differenti: dalle vene varicose, alle flebiti ed altre patologie responsabili del classico gonfiore delle gambe. La terza sfera di intervento riguarda i linfatici, ossia la parte più sconosciuta, la più criptica e difficile da indagare: quella rete di “vasellini” microscopici, onnipresenti in ogni tessuto, che coadiuvano le vene e che riportano la parte liquida del sangue verso il cuore. Anche le patologie linfatiche possono causare fastidiosissimi gonfiori e non è affatto facile scindere le patologie linfatiche dalle problematiche venose, tant’è che, in certe situazioni, occorre indagare più a fondo metodiche specifiche”.
Quali sono generalmente i pazienti che si rivolgono a lei in termini di età e di caratteristiche?
“Potremmo suddividere le persone in due blocchi: la quota giovanile, che riporta specialmente patologie di tipo varicoso o comunque gonfiori, edemi e disturbi del benessere degli arti e la quota dei più anziani, dai 60 anni in su, che riporta invece problematiche di tipo arterioso, oltre a patologie di tipo venoso delle quali non diventano certamente esenti col passare degli anni. Ci sono poi altre situazioni embricate nelle quali determinate patologie vanno ad incrociarsi creando quadri clinici a volte non semplici”.
È vero che una visita angiologia è consigliata ai diabetici e a tutte persone che hanno più di 50 anni e soffrono di pressione arteriosa?
“È verissimo. Il diabete, soprattutto se affiancato da altre problematiche dismetaboliche, qual i livelli alti di colesterolo, è una malattia di grave danno alle arterie e inoltre, col l’aggiunta del fumo la miscela può diventare esplosiva. Anche in età inferiore ai 50 anni, soprattutto se coesiste l’abitudine fumo, è bene indagare che il circolo arterioso, soprattutto quello delle piccole arterie e nelle estremità delle stesse, sia integro e non già inizialmente danneggiato”.
I primi allarmi, la dieta e lo stile di vita, le caviglie gonfie
Quali sono i primi segnali che dobbiamo scorgere per indurci a richiedere una visita angiologica?
“Sono svariati. Se parliamo di problematiche venose abbiamo segni evidenti di ingrossamento dei vasi venosi superficiali, ossia le classiche varici. Anche la presenza in famiglia di questo tipo di situazione può portare magari a prevenire o a cercare di identificare sul nascere tale patologia per poi adottare misure specifiche come igiene e comportamenti adeguati. Un altro segnale evidente è rappresentato dall’edema, ossia il gonfiore alle estremità, che può essere di svariati tipi. Diversamente la patologia arteriosa, nella sua forma più classica, si può manifestare con la classica problematica della difficoltà al cammino, la “cosiddetta patologia delle vetrine”, che consiste semplicemente nel fatto che il portatore di tale disturbo si vede costretto a fermarsi perché colto da un crampo al polpaccio mentre cammina e quindi si dice che guardi le vetrine per ingannare l’osservazione degli estranei. Per concludere si arriva purtroppo anche a patologie gravi, quali la comparsa di ulcerazioni, infezioni e forme di gangrena, partendo dalle estremità delle dita, frequenti nella patologia vascolare arteriosa evoluta e nelle forme severe di diabete”.
Può darci anche qualche consiglio sullo stile di vita per prevenire determinate problematiche?
“Sul versante delle patologie venose, per quanto riguarda la familiarità non possiamo intervenire più di tanto; per il resto, invece lo stile di vita adeguato è un fondamentale alleato. Occorre quindi non prendere troppo peso, condurre una vita relativamente sana, cercare di fare esercizio fisico, anche poco, ma ogni giorno, magari con semplici passeggiate, non stare troppo in piedi o con gli arti in posizioni declive durante le fasi di riposo, soprattutto se si palesano già iniziali tendenze al gonfiore. E’ necessario tenere quindi l’arto in scarico e se si ha già una forma di gonfiore occorre portare delle contenzioni elastiche, anche di tipo leggero. Sul versante arterioso, invece, non smetterò mai di consigliare l’astinenza totale dal fumo, evitando possibilmente anche quello passivo. L’altro consiglio che sembra banale, che ho già detto, ma che ribadisco, è quello di ridurre il peso, evitando nella dieta eccesso di formaggi, grassi saturi, carni rosse e via dicendo, indirizzandosi invece su una dieta di tipo vegetale, con carni bianche e pesce. Inoltre, al minimo accenno di problematiche del cammino, oppure dell’integrità della cute, soprattutto delle dita, occorre rivolgersi al proprio medico in modo che si possa avere immediatamente una valutazione precisa e una terapia adeguata”.
A proposito di diete. Lei ha detto di evitare i grassi ma ci sono diete, come quella chetogenica, che prevedono l’inserimento di grassi al posto di zuccheri e carboidrati per costringere il corpo a “mangiare” i grassi, riducendo rapidamente il peso. Si dovrebbe dimagrire in fretta, ma crede sia una soluzione efficace?
“Chi parla non è certamente un nutrizionista; io do quindi indicazioni di superficie e non mi piace negare alcun tipo di cibo, ma credo sia fondamentale che la dieta sia equilibrata, bilanciata e proporzionata sia rispetto all’età, sia rispetto al peso, all’attività fisica e via dicendo; mantenere nella dieta un’unica tipologia di alimenti squilibrata credo non sia assolutamente consigliabile”.
Le classiche caviglie gonfie, soprattutto nelle persone anziane, possono nascondere problemi molto seri? Come si possono curare e magari prevenire?
“Si tratta di una situazione molto frequente e non sempre di facile soluzione: le malattie che comportano questo tipo di problema possono essere tante, da banali patologie micro-traumatiche a problemi alle grosse articolazioni che causano un edema linfatico secondario, a patologie cardiache, soprattutto se si ha un’insufficienza cardiaca. Anche l’utilizzo di certi farmaci può provocare gonfiore alle caviglie visto che i calcio-antagonisti a volte creano degli edemi e poi ovviamente c’è tutta la problematica legata alle patologie venose, dalle flebiti agli edemi di tipo linfatico; insomma, a causare le caviglie gonfie ci sono davvero troppe variabili per fornire un’indicazione generale”.
Vene varicose, ictus e occlusioni delle carotidi
Le vene varicose rappresentano una patologia che può comportare anche rischi seri?
“Sono una tra le patologie più frequenti in ambito statistico, con notevole impatto di inabilità al lavoro; per fortuna, nella stragrande maggioranza sono di tipo benigno, anche nelle forme più avanzate, ma vanno comunque tenute in adeguata considerazione dal punto di vista sociale. Con questo non voglio dire che debbano essere trattate e curate in maniera aggressiva, ma nella loro evoluzione devono essere prima di tutto osservate da un medico, per decidere se si tratta di un problema che può essere di tipo chirurgico o di tipo conservativo. In molti casi grazie all’aiuto delle contenzioni elastiche e quant’altro possono essere trattate adeguatamente, e nella stragrande maggioranza dei casi non rappresentano un problema troppo severo. E’ altrettanto vero, però, che nelle forme flebitiche, sebbene di superficie le vene varicose possono costituire un problema serio, così come nelle forme avanzate di insufficienza venosa, quando si formano delle ulcerazioni in prossimità della caviglia che possono risultare magari non pericolose, ma decisamente disagevoli”.
Quindi le classiche calze contenitive da 70 o da 140 denari e via dicendo, sono realmente importanti in caso di vene varicose e di caviglie gonfie?
“Assolutamente sì, perché se si hanno specifiche problematiche legate alle vene occorre cercare di contenere le medesime il più possibile, ma anche perché lasciare andare queste situazioni significa consentire la loro evoluzione nel tempo, con conseguenze che possono anche essere importanti; inoltre, la nutrizione dei tessuti, soprattutto del terzo inferiore della gamba, quindi della caviglia, rischia di portare la persona a disturbi della pelle, a discromie, fino anche alle ulcere. Senza estremizzare, soprattutto quando si ha un tipo di attività o di comportamento quotidiano tendente alla stazione eretta o anche seduta o con gambe in posizione declive, è necessaria una contenzione graduata degli arti inferiori, in base alla gravità del problema, ovviamente su consiglio del medico di famiglia o di un medico specialista”.
Cambiamo argomento: l’ictus è un danno cerebrale che si verifica quando l’afflusso del sangue al cervello si interrompe all’improvviso per l’ostruzione di un’arteria? Che cosa può provocarlo e come lo si può prevenire… sempre che si possa?
“In realtà l’ictus è dovuto a varie cause, forse la principale è l’embolia da parte del cuore che fibrilla, quindi del cosiddetto “cuore matto”, oppure appunto dall’ostruzione delle arterie che può causare delle piccole embolie al cervello o dall’ostruzione completa di un’arteria, che genera un’ischemia, ossia la mancanza di sangue a una vasta area del cervello, con conseguente paralisi di tutte le funzioni deputate a quell’area: dalle funzioni di tipo sensoriale maggiore, come il parlare, il pensare, il rielaborare delle frasi, al movimento degli arti. Le cause che riguardano l’angiologia e la chirurgia vascolare sono principalmente legate alla patologia della carotide, che si ammala formando delle incrostazioni di colesterolo e calcio, la cui evoluzione può portare alle embolie o alla stessa occlusione. Tali situazioni vanno assolutamente prevenute con tutte le misure e gli atteggiamenti comportamentali e igienici di cui abbiamo parlato in precedenza, ma quando la malattia sia evidente, con interventi farmacologici specifici e quand’è indispensabile, con la chirurgia classica o endovascolare”.
Sull’occlusione delle carotidi si deve intervenire prima farmacologicamente, poi chirurgicamente?
“Appena se ne ha un indizio si interviene con farmaci contro le piastrine, in modo che le stesse non si aggreghino, non andando quindi ad appiccicarsi al nostro vaso e con i farmaci contro il colesterolo, per impedire appunto che l’eccesso di tale sostanza nel sangue favorisca l’ispessimento della parete. Quando si forma una placca molto importante, o ulcerata, o tendente all’embolizzazione o all’ostruzione, va trattata chirurgicamente”.
Qual è la percentuale di guardia al di sopra della quale è necessario intervenire col bisturi per evitare l’occlusione delle carotidi?
“Dal 70% in poi è consigliabile operare, ma non in tutti i casi: dipende da com’è conformata la placca e da altri dettagli anatomici che solo lo specialista vascolare può e deve valutare. Più la percentuale di occlusione è alta, più ci sono ovviamente probabilità di intervenire chirurgicamente. E’ inoltre fondamentale verificare che non ci siano placche particolarmente alterate nella loro morfologia, disgregate, che potrebbero rilasciare particelle verso il cervello che potrebbero provocare la disabilità o la morte del paziente”.
Interventi chirurgici di questo livello vanno però eseguiti nelle strutture specializzate. Al Poliambulatorio 3C Salute, invece, vengono effettuati piccoli interventi vascolari agli arti inferiori e superiori. È vero?
“Sì, qui al 3CSalute possiamo intervenire sulla patologia prevalentemente venosa, che può essere trattata in modo ambulatoriale, senza ricovero, mentre per quanto riguarda la patologia arteriosa occorre un ricovero ospedaliero e la presenza di specialisti della rianimazione”.
La pericolosità degli aneurismi. Come prevenire alcune malattie vascolari
Oltre a quelle che abbiamo citato, ci sono altre malattie particolari che lei incontra durante le sue visite?
“Esistono patologie che possiamo definire relativamente rare: una di queste, che tra l’altro risulta abbastanza impattante, è lo Stretto toracico superiore, un’anomalia che coinvolge i nervi e i vasi della spalla e del braccio. Si tratta di una patologia che porta formicolii, alterazioni della sensibilità e della forza del braccio: è molto fastidiosa perché colpisce una popolazione in piena attività lavorativa. Si tratta di una patologia non frequente, ma impattante perché comporta un’inabilità importante del soggetto e colpisce ragazzi di 20-30 anni”.
Come si cura?
“Con tanta fisioterapia che prevede un riposizionamento corretto delle spalle, visto che lo Stretto toracico superiore deriva da una sbagliata posizione delle medesime a causa di una tendenza a posture scorrette e a portare le spalle in avanti e cadenti. Se la situazione non dovesse migliorare, sempre che non ci siano cause anatomiche, sulle quali la fisioterapia fa quello che può, si può arrivare anche a una chirurgia che purtroppo è abbastanza invasiva e che si pratica però in casi molto selezionati e molto rari”.
Parliamo di aneurismi: possono comparire in altre parti del corpo, oltre che al cervello? Come si manifestano?
“Assolutamente sì, l’aneurisma più frequente è quello dell’aorta addominale, a seguire quello dell’aorta della porzione toracica e della porzione ascendente dal cuore: si tratta di patologie molto pericolose perché, superata una certa soglia (fissata in circa 5cm – 5cm e mezzo), l’arteria si può rompere, con irrefrenabile sanguinamento che spesso porta alla morte. Ci sono inoltre gli aneurismi delle arterie delle gambe, più rari solitamente si verificano nel 30% dei casi di coloro che hanno avuto un aneurisma dell’aorta addominale; si tratta di patologie meno gravi perché non tendono a rompersi, ma finiscono per occludere le arterie delle gambe, impedendo al sangue di diffondere nell’arto coinvolto, con conseguente pericolo di gangrena. Stiamo parlando dell’aneurisma popliteo”.
Lunghi viaggi seduti, certi tipi di pillole contraccettive non adatte o semplicemente la familiarità possono generare trombosi. Le calze elastiche, come dicevamo prima, possono agevolare o prevenire tali problematiche?
“Certe situazioni comportamentali favoriscono le trombosi, specialmente in chi è predisposto; è ovvio che la percentuale si riduca in una persona perfettamente sana. Il rischio comunque vale per chiunque quando si fa un lunghissimo viaggio in areo, in treno, in auto o in pullman; se non si portano le calze elastiche, occorre trovare il modo di alzarsi spesso, di muovere le gambe e se si può, di fare una breve passeggiata, oltre a bere molto. Chi vive situazioni più a rischio, in caso di obesità, precedenti problematiche di tipo vascolare e via dicendo, deve assumere farmaci specifici e deve indossare calze elastiche, oltre a seguire determinate regole comportamentali”.
In tempo di pandemia occorre avere particolari accortezze per chi soffre di patologie vascolari?
“Relazioni dirette fra il virus e le problematiche vascolari non ce ne sono. Ce ne sono invece a livello indiretto, in quanto l’incremento dei ricoveri per Covid causa inevitabilmente un rallentamento delle visite, degli interventi per altre patologie, oltre a tenere alto il rischio di contrarre lo stesso virus. Si dice inoltre che il virus abbia un certo impatto sui vasi sanguigni, visto che si è parlato anche di trombosi arteriose periferiche, ma si tratta di situazioni contenute nei numeri, quindi non mi sento di trarne delle conclusioni. A tal proposito si parlava di adozione di terapia eparinica, ma non so se sia ancora così diffusa e presente tale pratica medica in questi casi: ritengo infatti venga utilizzata per evitare trombosi nelle arterie polmonari nelle forme più gravi”.
In caso di sintomi gravi, che tempi ci sono per salvarsi la vita?
Dottor Vecchiati, che tipi di esami strumentali adottate abitualmente per scorgere le patologie più pericolose, alcune delle quali mi sembra siano piuttosto silenti?
“La patologia aneurismatica, in particolare, mi viene in mente quella perché è decisamente subdola nella sua evoluzione, non dà assolutamente nessun segno di sé: sia l’aneurisma dell’aorta, già citato, sia l’aneurisma dell’arteria poplitea vengono in qualche modo rilevati attraverso un esame ecografico casuale nella stragrande maggioranza dei casi. In rari casi è palpabile nel paziente particolarmente magro con l’aneurisma particolarmente voluminoso, tant’è che, in quel caso, com’è già successo, è il paziente stesso che riferisce… “ho il cuore nella pancia”. Si tratta di casi non frequenti e di situazioni aneddotiche, ma in tanti anni di professione ne ho visti diversi. Purtroppo, quindi, l’aneurisma decorre silente, senza dare alcuna manifestazione, fino a che non incorre nella rottura del vaso, un evento gravissimo che può portare alla morte e che quindi va assolutamente prevenuto e curato. In alcuni paesi, soprattutto del Nord Europa, lo Stato prevede una forma di screening: così come c’è quello della mammella, esiste anche quello dell’aneurisma dell’aorta. Peccato che nel nostro Paese tale forma di prevenzione non ci sia, ma io personalmente, quando visito un paziente, tendo a dare un’occhiatina anche all’aorta: si tratta di una valutazione che porta via poco tempo e da ottimi risultati. Esaminare l’aorta è una forma di screening personale che un po’ tutti noi angiologi e chirurghi cardiovascolari tendiamo ad eseguire, soprattutto se il paziente ha un’età al di sopra dei 60 anni e una familiarità alle spalle”.
In caso di aneurisma o di ictus che tempi d’intervento ci sono per poter salvare una persona?
“Al giorno d’oggi ci sono esami rapidi e precisi come le ecografie addominali che vengono eseguite a tantissime persone: nel caso in cui tale esame evidenzi qualcosa di anomalo, se l’aneurisma viene rilevato in fase relativamente precoce, quindi tra i 4, 5 o 5,5 centimetri la situazione è relativamente tranquilla, ma c’è da intervenire comunque con tempestività: non parliamo, né di ore, né di giorni, ma anche di qualche mese. Se abbiamo invece dimensioni maggiori allora la situazione diventa urgente e il paziente va ricoverato e trattato in tempi molto celeri”.
Se una persona capisce di avere un infarto in corso, un ictus o situazioni analoghe che tempi ha perché gli venga salvata la vita?
“Se parliamo della carotide i tempi di intervento sono estremamente limitati: se il problema è un ictus iniziale, parliamo di ore, al massimo di pochissimi giorni; se invece si tratta di un ictus severo, allora la problematica è estremamente grave, costituisce un’emergenza e non mi pare corretto dilungarmi in questa sede, perché si tratta di una problematica che va trattata in ambito di pronto soccorso, di “stroke unit” e quindi ci limitiamo a definirne l’intervento urgentissimo”.
Quali sono i sintomi dell’ictus?
“Una paralisi di una parte del corpo, debolezza o disturbi della sensibilità a livello di viso, braccio o gamba: si sorride con la bocca storta, si fa fatica a coordinare il movimento degli arti braccia e gambe e i movimenti fini delle mani. Possono esserci problemi nel parlare o nel comprendere e la pronuncia è biascicata o comunque difficilmente comprensibile. Possono esserci problemi di vista, vertigini, vomito, nausea, instabilità durante il cammino e si può arrivare fino alla perdita della coscienza
Quindi, se si hanno alcuni di questi sintomi occorre chiamare immediatamente il 118…
A cura di Lorenzo Chierici
Ufficio Stampa 3C Salute
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