Lo sport è salute! Sembra un luogo comune, ma è realmente così: fare sport può allungare la vita o quantomeno può migliorarne la qualità. Ma c’è modo e modo di fare sport e per appropinquarsi correttamente alle tante discipline che ognuno di noi può liberamente scegliere per migliorare la propria salute fisica e mentale, occorre iniziare da una valutazione medico-sportiva approfondita.
Proprio di questo parliamo col dottor Claudio Dino Torrisi, specializzato in Medicina dello Sport e dell’Esercizio Fisico, con esperienza in riabilitazione cardiorespiratoria, oltre che di ecografia toracica, ecocardiografia, ecografia vascolare ed ecografia muscolo-scheletrica.
Col dottor Torrisi, che collabora col Poliambulatorio 3C Salute di via Largo Gerra 2, abbiamo parlato anche di test da sforzo cardiopolmonare e di traumatologia, ma anche di prevenzione infortuni e di pronto intervento nel caso in cui compaiano cardiopatie inattese, asma o problemi respiratori durante la pratica sportiva.
Visita medico-sportiva: chi deve farla, quando e perché
Entrando maggiormente nel dettaglio, in che cosa consiste una visita di idoneità alla pratica sportiva?
“Ci sono due tipologie di visite mediche: quella agonistica e quella non agonistica. Nell’agonistica la visita consiste nell’anamnesi familiare, fisiologica e patologica, quindi occorre effettuare delle domande al paziente riguardo eventuali patologie presenti in famiglia o sofferte dall’atleta stesso, indagare sull’eventuale insorgenza di dolori toracici, svenimenti e/o cardiopalmo a riposo e durante attività fisica, poi si procede ad una visita medica classica, costituita da un esame obiettivo cardiovascolare, addominale, genitale, dell’ìapparato muscolo-scheletrico e respiratorio; successivamente si sottopone il paziente ad esami come l’elettrocardiogramma a riposo, l’elettrocardiogramma dopo sforzo, anche se personalmente preferisco monitorare il paziente anche durante lo sforzo, per verificare l’andamento dell’attività elettrica del cuore e la riposta alla sforzo della pressoria arteriosa.
Oltre a questi esami si sottopone il soggetto alla spirometria, ovvero un test di funzionalità respiratoria. Si analizza inoltre anche l’acuità visiva, quindi la capacità di andare a vedere oggetti più o meno lontani e per ultimo si procede con un esame chimico-fisico delle urine.
La visita non agonistica, invece, si articola principalmente con l’analisi di un ECG a riposo, la rilevazione della pressione arteriosa, oltre ovviamente all’anamnesi ed esame obiettivo generale prima descritto”.
Quali sono i parametri ai quali voi medici di medicina dello sport date maggiore importanza in sede di visita?
“Ci focalizziamo in primis sull’anamnesi familiare, andando a ricercare nell’albero genealogico dell’atleta se ci sono stati casi di morti improvvise, se ci sono o se ci sono state cardiopatie o eventi avversi che in passato non sono stati spiegati e che possono essere riconducibili a cardiopatie o malattie cardiovascolari; poi analizziamo l’anamnesi sportiva ovvero il numero di allenamenti a settimana e gli eventuali problemi che insorgono durante questi come dolore toracico, eccessivo affaticamento, svenimenti o cardiopalmo.
Si continua con l’esame obiettivo quindi la classica visita medica, analizzando quindi quella che è la attività cardiaca, i toni cardiaci, le pause, facendo quindi un’auscultazione attenta e precisa; reperire i polsi, sia periferici che centrali utili nel sospettare, quando alterati, condizioni come la coartazione aortica o altre patologie dell’aorta. Infine l’elettrocardiogramma a riposo che rappresenta un momento in cui molte delle cardiopatie genetiche o acquisite possono essere diagnosticate; per poi passare all’elettrocardiogramma dopo sforzo e durante sforzo che fornisce ulteriori dettagli riguardo la natura cardiovascolare dell’atleta oggetto di visita”.
A che età sarebbe consigliato sottoporsi a una visita medico-sportiva?
“Non esiste un’età specifica, ma lo screening, il follow-up deve essere continuo e costante nel tempo per diversi motivi. Esistono infatti delle forme di cardiopatie geneticamente determinanti che si manifestano col passare degli anni. Basti pensare che la cardiopatia ipertrofica può dare segni di sé nell’età puberale o anche pochi anni prima o dopo mentre un’altra forma di cardiopatia come la cardiopatia aritmogena può manifestarsi in un’età più tardiva rispetto alla cardiopatia ipertrofica, come nella seconda e terza decade di vita. Ci sono inoltre cardiopatie acquisite ovvero non geneticamente determinate come la miocardite o la pericardite, che per esempio possono svilupparsi a seguito di un’infezione virale; quindi, rispondendo alla sua domanda, lo screening deve essere effettuato in maniera periodica e non solo una tantum in quanto in questo modo si aumenta in maniera significativa la probabilità di fare diagnosi precoce di malattia”.
Cardiopatie latenti e i casi Astori e Morosini
Quindi, vista la presenza di cardiopatie che possono slatentizzarsi negli anni, occorre fare almeno una visita medico-sportiva all’anno?
“Assolutamente sì. C’è infatti un interessante studio del gruppo di Padova e Treviso che ha dimostrato come la diagnosi di cardiopatie potenzialmente fatali non è stata ottenuta solamente grazie ad una singola visita, ma da più controlli seriati nel tempo; quindi, possiamo affermare come l’approccio italiano di sottoporsi almeno ad una visita all’anno risulta vincente”.
A tal proposito mi collego a due fatti di cronaca che risalgono al 2018 e al 2012 che tutti conoscono: i decessi di Davide Astori e Piermario Morosini. Com’è possibile che atleti di Serie A, quindi ipercontrollati, cessino di vivere a causa di un arresto cardiaco, magari durante la notte, com’è accaduto ad Astori, capitano della Fiorentina o in campo, com’è successo a Morosini, tant’è che dopo il decesso dell’ex giocatore del Livorno è passato l’obbligo della presenza di un defibrillatore su ogni campo sportivo, anche nelle serie minori.
“Diciamo che per quanto riguarda il caso specifico di Astori, il giocatore purtroppo era affetto da una cardiopatia aritmogena, una cardiopatia geneticamente determinata che, come dicevo prima, va a slatentizzarsi intorno ai 20-30 anni; poi ovviamente ci sono casi in cui la manifestazione avviene prima rispetto alla media o dopo. Ovviamente, nel caso specifico della malattia il gold-standard è rappresentato dalla risonanza magnetica cardiaca, ma è anche vero che è possibile avere dei sospetti di tale patologia durante la visita medico sportiva, con l’evidenza, ad esempio di extrasistoli o di alternazioni elettrocardiografiche del tracciato di base. Purtroppo però la medicina non è una scienza esatta ed esistono quei casi borderline nei quali anche la visita sportiva medico-sportiva non riesce ad evidenziare una condizione potenzialmente maligna o comunque ad eseguire uno screening efficace al
100%. Esistono anche casi anche di morti improvvise idiopatiche, ovvero che non ci sappiamo spiegare e in questi casi gli esami strumentali effettuati durante una visita comune non permettono di fare diagnosi o di averne il sospetto”.
Quindi ci sono anche cardiopatia che non possono essere previste, neppure con le visite tradizionali o con esami accurati?
“La maggior parte delle cardiopatie si possono diagnosticare durante la visita medico-sportiva o sospettare ed indagare con ulteriori esami strumentali specifici, ma è altrettanto vero che ci sono situazioni in cui alcune cardiopatie non possono essere diagnosticate durante una visita medico sportiva classica. Infatti, ci sono dei casi di morti improvvise negli atleti o comunque in generale che rimangono tuttora inspiegate e vengono indicate con il termine di morti improvvise idiopatiche.
La morte di Piermario Morosini ha sensibilizzato le coscienze di tutti, tanto da fare scattare l’obbligo della presenza di defibrillatori in tutti gli impianti sportivi…
“È vero e commento questa sua affermazione richiamando un altro evento di cronaca abbastanza recente, che molti di noi hanno vissuto in diretta, ovvero il caso Eriksen.
L’organizzazione di un team e la presenza di un defibrillatore in campo risultano decisivi nel caso in cui si verifichino avventi cardiaci avversi. Nel caso Eriksen, fosse successo quello che gli è accaduto nella sua camera d’albergo, com’è successo ad Astori, non so se sarebbe rimasto in vita. Quindi vorrei sottolineare come la presenza dei defibrillatori e di personale specializzato, che tra l’altro si esercita con simulazioni sul campo, sia di fondamentale importanza qualora si verificasse un evento avverso sul terreno di gioco”.
“Return to play”, come si fa e perché va fatto
Nell’era Covid è entrato in vigore il “return to play” per riavere l’idoneità alla pratica sportiva. Ce ne parla brevemente?
“Sì, dal 2019 ad oggi è comparso il virus Sars-Cov 2 che ha messo in ginocchio tutto il mondo. La medicina dello sport, essendo una medicina preventiva, ha avuto un atteggiamento coerente con le proprie finalità, dando raccomandazioni ben precise alle Federazioni che hanno pensato ad un percorso da seguire sia per poter ricominciare a fare attività, ovviamente, però, queste raccomandazioni sono cambiate nel tempo sia perché l’infezione si è mutata nel tempo con lo sviluppo di diverse varianti, si perché la comunità scientifica iniziava ad avere più dati e quindi conosceva meglio il coronavirus, sia perché gli atleti iniziavano ad essere vaccinati, quindi si rispondeva in maniera diversa all’infezione da coronavirus e per questo motivo le raccomandazioni sono cambiate nei termini di timing di ritorno alle attività, sia agli esami integrativi da dover fare per monitorare e controllare che il coronavirus non avesse lasciato strascichi al sistema cardiovascolare”.
Rimanendo sulla divisione delle fasce di età: in cosa differisce una visita medico-sportiva per un ragazzino, un adolescente, un ragazzo maturo o un atleta sopra i 40 anni?
“Rimanendo sempre nell’ottica di screening cardiovascolare, di diagnosi precoce di malattia, col passare dell’età, sia la genetica, sia fattori esterni quindi abitudini come l’obesità, il fumo, l’essere sedentari, l’instaurarsi di condizioni come le dislipidemie, quindi alterazioni del metabolismo dei grassi, il diabete o la pressione alta, possono andare a generare delle condizioni sfavorevoli, col conseguente sviluppo di aterosclerosi, una tra le principali malattie causa di infarti, ictus e anche di artropatie degli arti inferiori. Questo spiega perché nella popolazione un po’ più adulta, diciamo così, la visita medico-sportiva agonistica muta un po’ nella cosiddetta prova da sforzo; ovvero, dopo i 40 anni effettuiamo un test ergometrico-massimale, ossia una prova di sforzo massimale, proprio per andare a fare lo screening di un’eventuale cardiopatia ischemica su base aterosclerotica, ricordando sempre che comunque il test da sforzo massimale ha una sensibilità all’incirca del 70%: ciò significa che su cento persone con cardiopatia ischemica su base ateroscrelotica o su altra base, 70 riesco a individuarle, ma 30 le perdo, quindi, comunque si tratta di un esame abbastanza efficace su uno screening di massa come quello della visita medico-sportiva”.
L’ecografia dei tronchi sovraortici nella visita medico-sportiva
Dottore, è vero che lei è uno dei pochi medici dello sport a sottoporre il paziente, in sede di visita, a un accertamento cardio-vascolare attraverso un’ecografia dei tronchi sovraortici.
Quant’è importante un esame del genere per concedere un’idoneità sportiva?
“Nel contesto della visita di medicina dello sport, quindi in un contesto di prevenzione cardiovascolare, soprattutto in quegli atleti che hanno il seguente profilo, ossia atleti di 40-50-60 anni, magari con familiarità per eventi cardiovascolari, con una forma di diabete o pre-diabete, con ipertensione o con dislipidemie, quindi alterazioni del profilo dei lipidi e del colesterolo, andare a effettuare e quindi ad aggiungere, nel contesto preventivo, un esame di primo livello come l’ecodoppler dei tronchi sovraortici, ci permette di andare ad analizzare delle arterie che, in quel profilo di paziente, possono mostrare un processo aterosclerotico, quindi la presenza di placche. In pratica, in un esame unico abbiamo prima di
tutto un’informazione generale del paziente, ovvero se un paziente ha una forma di aterosclerosi. Così se dovesse risultare presente una placca a livello carotideo può potenzialmente averla anche a livello coronarico, quindi può correre il rischio di sviluppare in futuro, se i fattori di rischio non vengono eliminati o ridotti, una sindrome coronarica acuta. Un esame di questo tipo, ci permette anche di prevenire eventi cerebrovascolari avversi, come l’ictus cerebrale; ecco perché ritengo che per il profilo di paziente-atleta che ho descritto pochi istanti fa, un’ecografia dei tronchi sovraortici diventa un esame che lo può mettere in guardia da patologie molto gravi future e ci permette anche di impostare già in maniera precoce una terapia finalizzata a controllare l’aterosclerosi”.
E questo tipo di visita la propone anche se una persona ha meno di 40 anni?
“Come ho detto prima, nel paziente che ha il profilo di rischio aggiungerei questa prestazione, mentre come esame di screening di massa non lo vedo utile, nel senso che è difficile che possa dare informazioni; è altrettanto vero che se il paziente-atleta lamentasse dei sintomi allora farei l’esame volentieri, ma qualora non ci fossero indicazioni non lo vedo utile, nel senso che non lo vedo appropriato”
Lo stesso discorso vale per l’ecodoppler dei degli arti inferiori?
“Esatto. E’ brutto dirlo, ma nel nostro organismo ci sono strutture più o meno nobili. Se si verifica un’ischemia o un infarto di una struttura come l’encefalo, ovviamente abbiamo dei danni che possono essere più o meno gravi e a volte anche irreversibili; diverso invece se avviene un’ischemia o un infarto, quindi l’assenza proprio di flusso ematico acuto, a livello di strutture come gli arti inferiori; in quest’ultimo caso il danno può essere senz’altro importante, ma certamente meno grave rispetto a un evento ischemico cerebrale”.
Quindi, nel caso in cui lei decidesse di sottoporre il suo paziente-atleta a questo tipo di esame, sarebbe anche in grado di indagare magari la causa di formicolii, indolenzimenti o in generale disturbi agli arti inferiori?
“Già la clinica ci aiuta molto nel sospetto di un’arteropatia periferica; mi spiego: chi verosimilmente soffre di un’arteropatia periferica è un paziente che ha una bassa autonomia di marcia, che può avere anche dei dolori a riposo simil-crampiformi e può anche sviluppare delle lesioni cutanee, ascrivibili proprio a deficit perfusivi più o meno acuti, nel senso che ci sono anche le forme croniche in cui l’atteggiamento clinico e anche l’urgenza-emergenza cambia notevolmente”.
Quant’è importante, secondo lei, un esame ecografico muscolo-scheletrico, visto che so che lei si occupa anche di questo…
“Nell’ambito della traumatologia dello sport l’ecografia muscolo-scheletrica è un valore aggiunto, proprio perché con un esame ripetibile, che non è invasivo ed è a basso costo, noi possiamo avere numerosissime informazioni riguardo lo stato funzionale dell’atleta, riguardo le strutture anatomiche come legamenti tendini e articolazioni e muscoli e in più possiamo andare a personalizzare la riabilitazione, il rientro in campo, proprio perché riguardo la prognosi, che può essere più o meno standardizzata, controllando l’evoluzione della lesione, dell’ematoma o di qualsiasi altra alterazione, io posso aumentare o accorciare i tempi di guarigione e posso anche guidare il percorso riabilitativo verso una metodica o verso l’altra. Ecco perché lo considero un esame appropriato e utile, soprattutto per gli sportivi che hanno la necessità di un recupero ottimo, magari in tempi brevi, senza far sì che questa velocità del recupero sia poi controproducente a lungo termine quindi senza far si che si sviluppino delle recidive”.
Visite medico-sportive differenti in base alle discipline
Dottore, sono diverse le visite di idoneità sportiva per le varie discipline, dal calcio al pallavolo ad altri sport come il tennis o il padel, che sta raccogliendo grandi consensi?
“Sì esistono diversi protocolli in base al tipo di sport, proprio perché le discipline sportive sono di diversa natura ed espongono l’atleta a rischi differenti dovuti alla circostanza o allo sport stesso. Faccio un esempio: se visito un pugile, ovviamente ci saranno delle strutture anatomiche sollecitate e spesso coinvolte nel trauma, come appunto gli organi di senso e l’encefalo, motivo per cui nel pugilato o in altri sport da combattimento a contatto pieno, si integrerà alla comune visita medico-sportiva, un visita neurologica, con anche il referto di un elettroencefalogramma, che monitori quindi all’attività elettrica cerebrale, una visita oculistica e una visita dall’otorinolaringoiatra oltre anche a un’audiometria. Se pensiamo, invece, agli sport di velocità, come l’automobilismo, diventa fondamentale capire se il soggetto può essere colpito da episodi di epilessia che potrebbe fargli perdere il controllo del mezzo, rappresentando quindi un pericolo per se stesso, ma anche per il pubblico e per gli altri concorrenti in gara”.
Lei, in sede di visita medico-sportiva, effettua anche test di broncodilatazione farmacologia e di broncoprovocazione mediante esercizio fisico?
“No, questa è una prestazione che cerca di individuare le persone affette da asma indotta da esercizio fisico, una condizione dove proprio l’esercizio fisico diventa il trigger, quindi l’innesco di un episodio asmatico”.
Quindi se una persona si accorgesse di soffrire di asma durante l’attività sportiva e volesse indagare sulle cause della stessa, lei, con questo tipo di esame, sarebbe in grado di dare una
risposta certa?
“Esatto. Una volta effettuati gli esami del caso si deciderà poi quale terapia scegliere per risolvere, dov’è possibile, la patologia del paziente”.
Parliamo di infortuni sportivi. Quali sono quelli più frequenti, quelli che magari lei ha occasione di verificare con maggiore ciclicità? Ci sono modi per poterli prevenire?
“Gli infortuni più frequenti, soprattutto negli sport di contatto, sono le fratture le microfratture delle sollecitazioni articolari, le lussazioni, le sublussazioni, fino a infortuni propriamente muscolari, quindi lesioni con formazione più o meno gravi di ematoma. Prevenirli, almeno negli sport da combattimento, è praticamente impossibile, mentre in discipline come il calcio, ad esempio, con una preparazione atletica adeguata, con stretching e lavori legati alla potenza aerobica e anaerobica, forniscono al muscolo una migliore capacità di sopportare gli stimoli in una situazione di stress”.
Nel caso in cui lei si accorga di qualche anomalia, lei sottopone l’atleta-paziente ad ecografia toracica?
“L’ecografia toracica è un esame che ho avuto modo di utilizzare durante la pandemia: è senz’altro molto utile, ma è assolutamente da contestualizzare in base al paziente che ho di fronte, mentre durante la visita medico-sportiva non mi è mai capitato di dover utilizzare questo tipo di esame, quindi, al momento, non è un esame che integro nella visita medico-sportiva”.
Nelle visite tradizionali, al di là degli infortuni, quali sono le patologie che riscontra con maggiore frequenza?
“Le alterazioni più comuni sono di tipo elettrocardiografiche, come l’extrasistoli, che sono tuttora oggetto di studi; nel senso che si cerca di creare degli algoritmi capaci di distinguere l’extrasistolia benigna rispetto a quella maligna, che sarebbe il campanello d’allarme di cardiopatie come appunto quelle elencate prima, quindi posso dire che tra le alterazioni più frequenti, escludendo ovviamente quelle indotte dall’esercizio fisico dello sport, le extrasistolie rappresentano le più diffuse”.
A cura di Lorenzo Chierici
Ufficio Stampa 3C Salute
Articolo tratto dal sito www.3CSalute.it
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